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Pan Sonic + Ryoji Ikeda

Una serata densa di suoni e immagini alla Corte Malatestiana di Fano per il Festival Il Violino e la Selce, di quelle che come ci piace tanto ti fanno tornare indietro beneficamente confuso.

Ad aprire le danze (si fa per dire, in quanto si è ineluttabilmente seduti al proprio posto, unica nota negativa che personalmente ho subito per tutta la durata delle performance) è il compositore giapponese Ryoji Ikeda, figura di spicco dello scena elettronica/post-techno contemporanea, con il suo ultimo lavoro intitolato Formula.
Si tratta di un’opera multimediale dietro cui l’autore scompare per lasciare il campo alla sincronizzazione tra video e suono-frequenze, il trionfo di una logica binaria finalmente libera di espandersi attraverso tutte le proprie possibilità: predominano l’alternanza tra buio e luce, tra silenzio e rumore, tra stasi e movimento, ovvero fasi che invece di escludersi a vicenda coesistono e si intersecano in profondità, un’eco del complesso rapporto instauratosi tra uomo, ambiente e tecnologia. Pulizia visuale e minimalismo sonoro, con forse un’eccessiva dose di formalismo e programmaticità.

Dopo un intervallo di qualche minuto in cui ho modo di agitarmi per la presenza tra il pubblico degli Einstürzende Neubaten al completo, il cui concerto è programmato per il giorno dopo, arriva il momento dei finlandesi Pan Sonic, un duo che in Italia si è avuto modo di vedere più volte e che propone per la serata uno spettacolo intitolato Kesto, come il loro nuovo e quadruplo disco.
Lo scenario è quello abituale: Mika Vaino e Ilpo Vaissanen dietro alla consolle coperta di strumenti elettronici, dietro alla consolle la proiezione video. Non abituale invece mi sembra la performance, che mette da parte ogni passato equilibrio suprematista (a parte forse nelle immagini) per scatenare un suono terribile e bellissimo allo stesso tempo. I Pan Sonic rendono più che mai omaggio al loro nome, aprono voragini neurali e bruciano i circuiti sinaptici, alternando disciplina e caos cibernetico, scienze metronomiche e attitudine terroristica. Le sedie sono una tortura, il corpo si muove da solo, la mente si allarga, si restringe e si centrifuga. Panico…
Il suono è un cataclisma composto e decomposto di frammenti elektro, techno, dub, rumorismo alla Throbbing Gristle, ma progressivamente esacerbato come da inserimenti di lamiere e ferraglie, suoni captati dallo spazio e ri-immessi da un transistor. A fine concerto barcollo e non riesco a parlare molto bene, so di essere ipersensibile a certe frequenze più di altre persone ma guardandomi intorno mi accorgo anche di non essere l’unica.

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