keith jarrett - gary peacock - jack dejohnette
C'è un'attesa questa sera a Mantova per il trio di Keith Jarrett con Gary Peacock e Jack DeJohnette che sfiora l'evento storico. Fin dalle prime battute dell'affollato concerto si è capito che il pianista sta bene e sta riconquistando tutta la sua vena improvvisativa.
Nella reinterpretazione molto personale degli standard, più o meno noti, Jarrett torna a svettare più rilassato non solo sullo sgabello, ma anche sull'alchimia delle note, spesso d'incomparabile qualità poetica. I tre volano subito alto, puntano sulla rarefazione della propria musica, vagamente congelata, sospesa, forse, ma sempre grande musica, e ottimamente suonata, al confine fra tradizione improvvisativa e scenari cameristici.
Un magnifico Peacock svetta, drammatico, scarnissimo e teso al contrabbasso, Jarrett lo segue e lo sostiene con un grandioso, ricchissimo lavoro di tessitura ritmico- armonica, vero uomo-orchestra. Oggi tutti suonano gli standard, ma il più delle volte ci si annoia. Jarrett invece cerca nelle melodie già conosciute le voci di dentro, le inner voices che non sono sulla partitura, e l'effetto è letteralmente sublime. In simbiosi perfetta con i due straordinari soci, Jarrett tira fuori inattese armonie, sorrette da una vena lirica toccante e asciutta, da una padronanza dello strumento funzionale solo alla sua espressività, un'espressività che solo in questa ascesi diventa infine anche spettacolare, capace di dar corpo e suono alla voce intima del musicista, al suo profondo senso del blues, al suo ritmo interiore e fortissimo.
E il sipario cala su una sfida tutta in divenire, la cui forza sta nell'onestà con la quale queste tre superstar riescono a mettersi, ancora una volta, a nudo davanti alla musica.
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