John Cale
John
Cale come Lou Reed, con cui fondò i Velvet Underground, è
un estremista del rock'n'roll, l'inventore di un suono in bilico tra
estasi e follia, di una musica che urlava ma nello stesso tempo sussurrava
di una vita vissuta on the wild side. E anche se oggi le strade
che intraprende sono lontane dal rock, resta nella sua musica quell'equilibrio
fra armonia e dissonanza, fra soluzioni classiche e ritmo schizofrenico
che avevano fatto dei Velvet il gruppo più d'avanguardia del
rock.
John Cale è una leggenda vivente, a mio parere uno dei più
grandi geni musicali degli ultimi cinquant'anni. Un esploratore del
rock'n'roll di cui allo stesso tempo rappresenta l'essenza più
pura e la sua negazione. Un dadaista nevrotico, un pianista tragico,
un cinico minimalista. Pochi musicisti hanno attraversato la molteplice
esperienza della musica contemporanea come lui. Sperimentatore minimalista
con La Monte Young e Terry Riley, produttore di amici leggendari come
Patti Smith, Iggy Pop & Stooges, cantante di registri estremi, dalla
ballata decadente alla furia vocale malinconica e rabbiosa, musicista
totale nel senso della cultura, della curiosità e della ricerca
assoluta.
E' stato un concerto molto bello, quello che Cale ha offerto a un pubblico
entusiasta a Urbino. Suoni stringati, diretti, da band newyorkese aspra
ed essenziale, immagine perfetta di una città che non concede
nulla al disavanzo esistenziale, alla gioia di vivere. Terra grigia,
aria sporca, uomini battuti. Asciutto, pungente, lucido, John Cale espone
il suo punto di vista con nobile distacco, comunicando emozioni che
non sono dolci e confortanti, ma un monito a pensare, ad agire. Due
ore di esibizione in cui il nostro rilegge quasi interamente con minuziosa
cura nei dettagli il nuovo album "Circus Live". La band è
sciolta, suona con nonchalance, mentre lo spirito del grande rock metropolitano
seduce un pubblico appassionato, riconoscente dell'uomo e del musicista.
Venus in furs vine riproposta furibonda, con la viola in perenne
scontro e con la voce di Cale che sovrasta e quasi impaurisce. Senza
la foga del passato, senza enfasi, col senso pacato e saggio di chi
è riuscito a sopravvivere e cammina a testa alta sul Dirty Boulevard.
Diavolo di un gallese!
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